La sofferenza, o qualsivoglia disagio, se elaborata nella cosiddetta “maniera giusta”, può essere una grande causa di cambiamento per la nostra ed altrui vita. Non è certo retorica questa!
Già in molte filosofie si possono riscontrare insegnamenti che riguardano il trattare la sofferenza e non con la sofferenza e, trattandola, appunto, ci rendiamo ben conto di quanto essa faccia parte della nostra vita.
Di un primo necessario momento di sofferenza mi soffermo a parlare, di un momento storico, quello di Vanessa Gai che è stato protratto nel tempo e ove, ad un certo momento, Vanessa ha deciso di trovarvi una soluzione. Cambiare!
Vanessa Gai si butta, lascia cioè la casa paterna e decide di andare a vivere da sola. Si butta, lascia lo studio di pittura ove, per troppo tempo, andava a dipingere copie d’autore e decide di dipingere cose sue, che appartengono esclusivamente al suo mondo interiore, messo a tacere in un remoto angolino ma che, dentro, fremeva ardentemente per essere manifestato.
Per lungo tempo Vanessa ha voluto e dovuto proteggere quella sua interiorità con pennellate di colore e stili pittorici non suoi; per lungo tempo Vanessa si è rifugiata dietro ad un Klimt, un Monet, un Vermeer, fra gli altri.
Ma lei, dov’era?
Vanessa Gai mi parla con l’entusiasmo di un’adolescente ed è così che vuole descrivere quel periodo storico: “….mi sentivo ancora un’adolescente, chiusa ovunque e con chiunque….genitori, nello studio di pittura a Empoli; vivevo insicura, non volevo farmi vedere”, riferendosi in questo modo anche al suo rapporto con la pittura. Ma dentro, un piccolo seme aveva già cominciato a germogliare.
Sulla scia di questo cambiamento Vanessa decide quindi di mostrarsi e si “mette in vetrina”. Nel dicembre del 2008 si propone all’ Evolucion Caffè di Empoli per una pittura estemporanea, in occasione di eventi musicale che hanno come filo conduttore la musica jazz. Saranno quattro gli incontri, dal vivo, in cui Vanessa avrà a che fare non solo col pubblico pronto lì a vedere il suo artefatto ma, soprattutto, dovrà scontrarsi con le sue paure, incertezze, con un suo linguaggio pittorico che deve ancora prendere forma ed è per questo che Vanessa decide di rifarsi ad una pittura figurativa- quella cioè che maggiormente conosce. Ma la cosa essenziale, in quel momento, è essere lì e rompere il guscio.
Un anno dopo.
Il passaggio tra una pittura figurativa, nella quale si possono comunque distinguere già vari elementi simbolici e metafisici e l’attuale espressione artistica di Vanessa Gai, è descritto nel quadro che prende il titolo “1°”, piccola superficie di 60x60cm, realizzato nell’estate del 2009.
Una nuova cifra pittorica dunque, nata per gioco, nella quale il linguaggio non sembra affatto embrionale, piuttosto si vede già chiaramente quello che la Gai ha deciso di intraprendere. Non a caso, forse, l’uso del colore bianco; non a caso l’intrecciare, con eccellente maestria, l’ordito e la trama di tessuti, per dare vita, con estrema forza e chiarezza, ai nodi.
Nodo, intreccio e colore bianco: questi tre elementi diventano le nuove fondamenta a rappresentanza di quel doversi ritrovare, di quel voler emergere. Ecco allora che, legittimamente, parlo di ri-nascita che si manifesta nel complesso gioco cromatico e materico utilizzato dalla pittrice; yuta, nylon, cotone e colore che simboleggiano, puntualmente, la voglia di giocare, di tornare, sì ad una realtà, però con una dimensione intima ritrovata, più vera ed autentica che appartiene esclusivamente a Vanessa Gai.
Barbara Bacconi,
Art Curator
Firenze,2010